Le donne che vanno in giro di notte senza cercare un uomo
o un letto con dentro un uomo, o uno sguardo complice o il complice di uno sguardo.
Le donne che si bastano e sanno bastarsi,
che se vagano lo fanno per vagare e non per farsi trovare,
tuttalpiù per far perdere le loro tracce,
le donne sazie del resto, ma mai di loro stesse.
Le donne che cercano di precedere la loro angoscia,
prendendo l’ultimo sgabello in fondo a sinistra, quello in curva, il più tranquillo,
nel buio screziato d’anice, nel riflesso ramato del bancone,
nell’asse perfetto culo – pavimento.
Quelle donne, nel loro silenzio personale, nell’asperità di un sogno,
nel qualunquismo disperato di un’idea forse comune,
nell’introspezione inutile, nell’affanno di un disagio
e nel metro quadro di un’ipotesi azzardata.
Le donne come me, come te e come altre che non sanno dove collocarsi,
ecco, a queste donne dedico la voce roca di un buongiorno d’erba,
ginepro e tabacco,
dove ci vorrebbe un piano suonato in lontananza per non sentirsi fuori posto,
dove il mondo dovrebbe trovare un’altra voce per il suo vocabolario:
né amanti, né spose, né depresse e né puttane.
Ah sì, ci vorrebbe un fischio di un panettiere in bicicletta,
una chanson française, un aforisma, una frase perfetta.
Ci vorrebbe un riparo.
In certe mattine petrolio dove il caldo fa affogare i tacchi
e dove le case per rientrare sembrano sempre troppo lontane.
(Cecilia Resio, Bar)o un letto con dentro un uomo, o uno sguardo complice o il complice di uno sguardo.
Le donne che si bastano e sanno bastarsi,
che se vagano lo fanno per vagare e non per farsi trovare,
tuttalpiù per far perdere le loro tracce,
le donne sazie del resto, ma mai di loro stesse.
Le donne che cercano di precedere la loro angoscia,
prendendo l’ultimo sgabello in fondo a sinistra, quello in curva, il più tranquillo,
nel buio screziato d’anice, nel riflesso ramato del bancone,
nell’asse perfetto culo – pavimento.
Quelle donne, nel loro silenzio personale, nell’asperità di un sogno,
nel qualunquismo disperato di un’idea forse comune,
nell’introspezione inutile, nell’affanno di un disagio
e nel metro quadro di un’ipotesi azzardata.
Le donne come me, come te e come altre che non sanno dove collocarsi,
ecco, a queste donne dedico la voce roca di un buongiorno d’erba,
ginepro e tabacco,
dove ci vorrebbe un piano suonato in lontananza per non sentirsi fuori posto,
dove il mondo dovrebbe trovare un’altra voce per il suo vocabolario:
né amanti, né spose, né depresse e né puttane.
Ah sì, ci vorrebbe un fischio di un panettiere in bicicletta,
una chanson française, un aforisma, una frase perfetta.
Ci vorrebbe un riparo.
In certe mattine petrolio dove il caldo fa affogare i tacchi
e dove le case per rientrare sembrano sempre troppo lontane.
Alberto Sughi
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